"L'apprendimento è la fonte della giovinezza; non importa che età abbiamo. Non dobbiamo mai smettere di crescere"


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Abhasachaitanya (Ābhāsacaitanya): luce, riflesso consapevole. Viene così identificata l’Assoluta Consapevolezza. Questo riflesso della Verità, presente in ognuno, viene soverchiato ed oscurato dall’ego umano. Il non poter vedere questa “luce” impedisce di avere la giusta consapevolezza del Brahman.

Abhasavada (Ābhāsavada): concetto per cui il corpo fisico, la manifestazione materiale, dell’essere sia solo una proiezione, una creazione o illusione della mente.

Abhaya (Abhaya): libertà dalla paura. Assenza di paura. Sicurezza. Condizione di perfetta quiete derivante dalla consapevolezza della Verità.

Abhayamudra (Abhayamudrā): gesto che allontana la paura. Una delle più significative ed importanti mudra. Il palmo della mano esposto e ben aperto a protezione ed illuminazione dell’ignoto. Si trova spesso raffigurato in moltissime immagini di culto.

Abhidharma (Abhidharma): verità suprema. La consapevolezza dell’abhidharma porta con se la realizzazione dell’essere.

Abhimana (Abhimāna): orgoglio, presunzione, egoismo. Le Abhimānas sono tutte quelle qualità identificanti del proprio ego. Segni importanti di un io soggiogato dall’illusione della dualità che vive nella separazione individualizzante della propria personalità. 

Abhimukti (Abhimukti): altro termine per indicare il continuo ciclo delle rinascite.

Abhinivesa (Abhiniveśa): constante applicazione ad un intento preciso. È una delle cinque afflizioni o kleśaelencati negli yogasūtra: la paura della morte o l’attaccamento alla vita che troviamo in ogni essere.

Abhiseka (Abhiṣeka): unzione, lavacro rituale. È la cerimonia con cui venivano consacrati i regnanti, comprendente anche il lavaggio e l’unzione rituale. Ancor oggi, viene definita abhiṣeka il versare acqua o latte sulle statue sacre o sul sacro liṅga. Nel tantra vengono così definite le otto tappe che segnano il cammino spirituale che porta alla liberazione.

Abhyasa (Abhyāsa): pratica, esercizio. È l’intenso sforzo necessario al raggiungimento della calma mentale, sforzo che necessariamente deve essere costante, consapevole e quotidiano. Nella Haṭhayogapradīpikā si afferma chiaramente che il successo nello yoga si ottiene mediante la pratica e non per mezzo di discorsi teorici.

Acamana (Ācamana): atto di purificazione simbolica dei tre corpi (fisico, sottile e causale) proprio della pratica tantrica consistente nel sorseggiare dell’acqua dal palmo della mano con le dita rivolte verso l’alto accostando le labbra al polso e nell’aspergere con alcune gocce di essa le proprie membra.

Acara (Ācāra): nel tantrismo indica delle regole, un comportamento, una via particolare, una condotta di vita che va a palesare il piano spirituale che il sādhaka ha raggiunto tramite le sue pratiche. Nella tradizione delle scritture se ne possono trovare elencate sette: vedācāra, vaiṣṇavācāra, śaivācāra, dakṣiṇācāra,vāmācāra, siddhāntācāra e kaulācāra in ordine crescente d’importanza.

Acarya (Ācārya): maestro. Colui che ha raggiunto la consapevolezza necessaria a mostrare ai discepoli la corretta condotta, l’ācāra, che dovrebbero perseguire in relazione al loro grado di realizzazione.

Acaryasevana/Acaryaupasana (Ācāryasevana/Ācāryaupāsana): servizio e  venerazione del maestro. Indicate come una delle dieci niyama nell’Uddhavagitā, il servire ed ossequiare il proprio guru per alcune tradizionisono atteggiamenti necessari alla corretta sādhana.

Adarsana (Adarśana): visione errata, non visione. Nello yoga può essere considerata sinonimo di avidyā, l’ignoranza. Adarśana è l’incapacità di avere una corretta visione della realtà. L’anima o Puruṣa è incapace di riconoscersi cosa diversa da Prakṛiti, la natura, e con essa si immedesima perdendosi. 

Adhara (Ādhara): base, radice, sostegno. Vengono indicati con Ādhara punti specifici del corpo con una particolare importanza da un punto di vista energetico. Uno degli ādhara più importanti è il perineo, sede diMūlādhāra Cakra, il sostegno e la base della nostra energia vitale. Nelle scritture vengono elencati sedici punti fondamentali lungo il corpo umano, dalle dita dei piedi alla Brahmarandhra posta alla sommità del capo.

 


“Nessuno dei presenti ha notato che “voi non vi ricordate di voi”. Voi non sentite “voi stessi”; voi non siete coscienti di “voi stessi”. Bisogna “ricordarsi di se stessi! Coloro che sanno questo sanno già molto”.
  Il guaio è che nessuno lo sa. Se domandate a qualcuno se può ricordarsi di sé stesso, vi risponderà naturalmente che può. Se gli dite che non può ricordarsi di sé, o si irriterà, o penserà che siete matto. Tutta la vita è basata su questo fatto, tutta l’esistenza umana, tutta la cecità umana. Se un uomo realmente sa che non può ricordarsi di se stesso, è già vicino ad una comprensione del suo essere.”

 Percorrevo un giorno la Liteyny nella direzione della Prospettiva Nevsky e, nonostante tutti i miei sforzi, ero incapace di mantenere l’attenzione sul “ricordare me stesso”. Il rumore, il movimento, tutto mi distraeva. Ad ogni instante perdevo il filo dell’attenzione, lo ritrovavo e lo riperdevo. Alla fine, provai verso di me una specie di irritazione ridicola e girai in una via a sinistra, fermamente deciso, questa volta, a “ricordarmi di me stesso” almeno per qualche tempo, ad ogni modo fino a quando avessi raggiunto la via seguente. Raggiunsi la Nadejdinskava senza perdere il filo dell’attenzione, salvo forse per brevi istanti. Allora, rendendomi conto che mi era più facile, nelle vie tranquille, non perdere la linea del mio pensiero, e desiderando mettermi alla prova nelle vie più rumorose, decisi di tornare alla Nevsky continuando a ricordarmi di me. La raggiungi senza aver smesso di ricordarmi di me ed incominciavo già a provare lo strano stato emozionale di pace interiore e di fiducia che viene dopo grandi sforzi di questo tipo. Proprio all’angolo della Nevsky, vi era il tabaccaio che mi forniva le sigarette. Continuando a ricordarmi di me, mi dissi che sarei entrato ad ordinare qualche scatola.

  Due ore più tardi, “mi svegliai” nella Tavricheskaya, cioè molto lontano. Stavo andando in slitta. La sensazione del risveglio era straordinariamente viva. Posso quasi dire che “ritornavo in me”. Di colpo mi ricordai tutto: come avevo percorso la Nadejdinskaya, come mi ero ricordato di me stesso, come avevo pensato alle sigarette e come, a questo pensiero, ero caduto, come annientato, in un profondo sonno.
  Tuttavia, mentre ero così immerso in questo sonno, avevo continuato a compiere delle azioni coerenti ed opportune. Avevo lasciato il tabaccaio, telefonato al mio appartamento, scritto due lettere. Poi mi ero deciso a far ritorno a casa. Avevo risalito la Nevsky sul marciapiede di sinistra fino alla Porta Gostiny con l’intenzione di raggiungere l’Offìtzerskaya. Allora, cambiando idea, poiché si faceva tardi, avevo preso una slitta. Strada facendo, lungo la Tavricheskaya, cominciai a sentire uno strano malessere, come se avessi dimenticato qualcosa. E all’improvviso “mi ricordai che avevo dimenticato di ricordarmi di me”. P. Uspenskij
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