"La mente è negativa o positiva, felice o infelice, in amore od odio, giorno o notte, vita e morte: tutto questo appartiene alla mente. Ma tu non le appartieni! Tu sei al di là: racchiuso nella mente, ma al di là" Osho


Yoga Sutra - Libro I: Samadhi Pada

I-01 Hatha yoganuṡāsanam (अथ योगानुशासनम्॥१॥): adesso la disciplina dello yoga.
Lo yoga va praticato nel presente, ogni proiezione nelle due opposte direzioni temporali porta inevitabilmente ad una pratica sterile.

I-02 Yogaḥ cittavṛtti nirodhaḥ (योगश्चित्तवृत्तिनिरोधः॥२॥): lo yoga è la cessazione della mente.
Lo scopo dello yoga è arrivare ad un controllo tale della mente per cui diviene possibile l’arresto del suo fluttuare. Così come solo  arrestando il corso di una cascata è possibile vedere cosa ci sia dietro essa, solo arrestando il fluire dei pensieri è possibile percepire il  nostro vero Essere nascosto dal continuo susseguirsi delle loro immagini.

I-03 Tadā draṣṭuḥ svarūpe avashtānam (तदा द्रष्टुः स्वरूपेऽवस्थानम्॥३॥): allora il testimone è stabile in sé stesso.
Solo nel momento in cui si arriva al completo controllo mentale è possibile per la nostra coscienza restare stabile e centrata in se  stessa nell'attimo presente, perdendo l’attaccamento e o l’identificazione con l’illusione esterna fatta di aspirazioni, aspettative e  oggetti  di desiderio.

I-04 Vṛtti sārūpyam itaratra (वृत्तिसारूप्यमितरत्र॥४॥): negli altri stati c’è identificazione con la mente.
In qualsiasi altro momento l’Essere si identifica col processo mentale e rimane intrappolato nelle sue modificazioni, preda del suo  continuo moto ondulatorio gioia-dolore, passato-futuro, depressione-esaltazione, entusiasmo-prostrazione.

I-05 Vṛttayaḥ pañcatayyaḥ kliṣṭā akliṣṭā (वृत्तयः पञ्चतय्यः क्लिष्टाक्लिष्टाः॥५॥): i processi mentali, dolorosi o non dolorosi, sono di cinque tipi.
Il funzionamento della nostra mente può essere dettagliato attraverso cinque stati del suo essere. I processi mentali a cui si  associano possono provocare stati dolorosi o manifestarsi piacevolmente.

I-06 Pramṇā viparayaya vikalpa nidrā smṛtayaḥ (प्रमाणविपर्ययविकल्पनिद्रास्मृतयः॥६॥): retta conoscenza, falso sapere, immaginazione, sonno e memoria.
Le fluttuazioni mentali, riconoscibili o non riconoscibili, piacevoli o dolorose, sono causate di volta in volta da una di queste  modalità. Queste cinque condizioni sono esaustive degli stati di coscienza in cui può trovarsi la mente di ogni essere ordinario.

I-07 Pratyakṣā anumānā agamāḥ pramāṇāni (प्रत्यक्षानुमानागमाः प्रमाणानि॥७॥): la giusta conoscenza si acquisisce con la percezione diretta, la deduzione e la testimonianza.
Il vero sapere si può raggiungere attraverso tre modalità. Il primo è l’esperienza personale, il provare direttamente “sulla propria  pelle”. Questo percorso esperienziale da certezza al ricercatore. La  seconda fonte del sapere si basa sulla deduzione logica edificata  su principi corretti. L'esattezza della "verità" di partenza, molto difficile da determinare, ed i criteri di discernimento sono  ovviamente fondamentali. La testimonianza dei veri Realizzati la terza. Questa tipologia di ricerca risulta essere la più facilmente  perseguibile in quanto non richiede sforzo alcuno ma spesso sterile o disastrosa dato l'infinito numero dei "falsi profeti".

I-08 Viparyayo mithyājn͂ānam atadrūpa pratiṣṭhaṁ (विपर्ययो मिथ्याज्ञानमतद्रूपप्रतिष्ठम्॥८॥): il falso sapere si cristallizza da una errata percezione di ciò che é.
L’errore e l’equivoco mentale vengono causati da un'aberrazione dei sensi e da falsi presupposti su cui si basa il costrutto logico. Possono esserne esempio lo scambiare un’ombra innocua per un pericolo imminente o alla fine di un processo la condanna di un  innocente in base a prove mistificate.

I-09 Ṥabdajn͂āna anupātī vastuśūnyo vikalpaḥ (शब्दज्ञानानुपाती वस्तुशून्यो विकल्पः॥९॥): la conoscenza scaturita da mere parole richiamanti oggetti inesistenti è l’immaginazione.
La fantasia e l’immaginazione sono quei processi mentali per cui si affacciano alla nostra coscienza immagini e situazioni non  corrispondenti alla realtà che possono essere innescati dalla parola. Esempio può esserne “chimera” e l’immagine del mitologico  mostro che essa evoca.

I-10 Abhāva pratayayālambanā vṛttiḥ nidrā  (अभावप्रत्ययालम्बना वृत्तिर्निद्रा॥१०॥): il sonno è quello stato mentale in cui vi è assenza di connessione con la coscienza.
Quando viene meno il legame tra la propria consapevolezza ed il piano materiale il corpo sprofonda nel sonno. L’attività mentale  cessa di essere registrata completamente nella fase di sonno profondo: in questo stato il corpo materiale rivela la propria natura di  puro aggregato organico.

I-11 Anubhūta viṣayā asaṁpramoṣaḥ smṛtiḥ  (अनुभूतविषयासंप्रमोषः स्मृतिः॥११॥): la memoria è il non perdere le impressioni mentali.
Il processo di conservazione da parte della coscienza di percezioni ricevute attraverso gli organi di senso e la loro successiva  rievocazione mentale è la memoria.

I-12 Abhiāsa vairāgyābhyāṁ tannirodhaḥ (अभ्यासवैराग्याभ्यां तन्निरोधः॥१२॥): la capacità di arrestare la mente si ottiene attraverso la pratica perseverante ed il non attaccamento.
Lo stato di non-mente è raggiungibile e sperimentabile da chiunque sia disposto a sottoporsi ad  una disciplina costante e continua  praticando il non attaccamento alle cose, ai desideri, alle passioni.

I-13 Tatra sthitau yatnaḥ abhyāsaḥ (तत्र स्थितौ यत्नोऽभ्यासः॥१३॥): abhyāsaḥ è lo sforzo necessario per restare stabilmente in questo stato.
Abhyāsa è assolutamente indispensabile al sādhaka affinché il suo stato di quiete ed enstasi mentale diventino fermamente stabili.

I-14 Sa tu dīrghakāla ṇairantarya satkāra āsevitaḥ ḍṛḍhabhūmiḥ (स तु दीर्घकालनैरन्तर्यसत्कारासेवितो दृढभूमिः॥१४॥): ciò si radica saldamente dopo un lungo periodo ininterrotto di pratica umile e devota.
Abhyāsa diviene parte integrante dell’essere e trasforma l’essere stesso solo dopo un tempo sufficientemente lungo in cui lo yogin  pratica in maniera costante, con sincera devozione e profonda umiltà.

I-15 Dṛṣṭa ānusravika viṣaya vitṛṣṇasya vasīkārasaṃjñā vairāgyam (दृष्टानुश्रविकविषयवितृष्णस्य वशीकारसंज्ञा वैराग्यम्॥१५॥): la consapevolezza dell’assenza di desideri è vairāgyam.
Quando la mente è stata sufficientemente educata affinché non sia più trascinata ovunque senza sosta dalla bramosia di possedere  oggetti e persone, è possibile acquisire la consapevolezza del proprio non-attaccamento. Questo nuovo stato di coscienza porta con sé  calma e benessere dando la possibilità di distacco dalla mente e di ritiro dai sensi.

I-16 Tatparaṁ puruṣakhyāter guṇavaitṛṣṇyam  (तत्परं पुरुषख्यातेर्गुणवैतृष्ण्यम्॥१६॥): la consapevolezza di Purusha porta alla liberazione dai guna.
Il più alto grado di non-attaccamento, la liberazione dalle manifestazioni illusorie create dal gioco dei guna che col loro interpolarsi  vicendevolmente creano ciò che viene chiamata “realtà” è dato dalla consapevolezza del vero Sé, Purusha.

I-17 Vitarka vicāra ānanda asmitārūpa anugumāt samprajñātaḥ  (वितर्कविचारानन्दास्मितारूपानुगमात् संप्रज्ञातः॥१७॥): il ragionamento, la riflessione, la beatitudine e la contemplazione di se stessi portano alla meditazione con chiara conoscenza.
Passando attraverso il ragionamento, la riflessione, uno stato di beatitudine e l’autocontemplazione è possibile giungere ad una  condizione enstatica definita con “seme” o “samadhi conscio”. In questo stato di samadhi sono ancora presenti i germi e le cause  prime che vanno a formare nel mentale l’oggetto della concentrazione, la quale divenendo sempre più profonda e stabile passando  attraverso i quattro stati sopra citati  sfocia in “samprajñātaḥ”.

I-18 Virāmapratyaya abhyāsapūrvaḥ saṃskāraśeṣaḥ anyaḥ (विरामप्रत्ययाभ्यासपूर्वः संस्कारशेषोऽन्यः॥१८॥): l’arresto mentale fa raggiungere la meditazione senza seme.
Lo stato più elevato della meditazione, il "samadhi senza seme", raggiungibile con la continua pratica dello samprajñātaḥ, si  sperimenta nel momento in cui la funzione intellettuale si ferma terminando così ogni tentativo mentale di identificazione, riconoscimento ed immedesimazione di oggetti, pensieri, aspirazioni e desideri. Le impressioni mentali restano non manifeste e  cessano di disturbare con la loro presenza il Sādhaka e l’oggetto della focalizzazione perde ogni sua funzione ed utilità. Ora si ha la  vera percezione della propria Coscienza sperimentando la consapevolezza del Sé.

I-19 Bhavapratyayaḥ videha prakṛtilayānām (भवप्रत्ययो विदेहप्रकृतिलयानाम्॥१९॥): chi è morto proverà la nascita fintanto che avrà attaccamento alla propria natura.
I semi dei desideri incompiuti possono restare latenti anche in quelle anime che hanno raggiunto e sperimentato il samadhi. Queste  scorie rimaste celate nel più profondo saranno causa di continue rinascite per chi credendo di aver raggiunto la propria liberazione si  è distratto dal proseguo del lavoro soffermandosi a godere del piacere della propria contemplazione.

I-20 Śraddhā vīrya smṛti samādhiprajñā pūrvakaḥ itareṣām (श्रद्धावीर्यस्मृतिसमाधिप्रज्ञापूर्वक इतरेषाम्॥२०॥): fede,  sforzo, ricordo uniti all’intelligenza precedono altro.
Avere fede in ciò che si sta compiendo, non risparmiare energie per raggiungere lo scopo, tenere in considerazione le esperienze dei  saggi che ci hanno preceduto. Questi tre fattori uniti ed usati in maniera intelligente devono essere posti alla base della pratica, devono venire prima di altro e non devono mai essere scordati o posti in secondo piano.

I-21 Tīvrasaṁvegānām āsannaḥ (तीव्रसंवेगानामासन्नः॥२१॥): forte intensità verso il fine.
È necessaria una forte spinta interiore che porti alla pratica costante e sincera della propria disciplina. La realizzazione dell’unione  con la propria divinità interiore sarà raggiunta presto e sicuramente da chi è completamente teso verso di essa.

I-22 Mṛdu madhya adhimātratvāt tato api viśeṣaḥ (मृदुमध्याधिमात्रत्वात् ततोऽपि विशेषः॥२२॥): praticare in misura inebriante sicuramente fa differenza rispetto ad una meditazione debole.
La misura dell’intensità con cui si pratica la propria sadhana senza alcun dubbio porta a esiti diversi. Una pratica superficiale  procurerà effetti scarsi o nulli, una media intensità darà risultati medi, praticate con l’ardore di un amante donerà certamente  grandi frutti.

I-23 Īṡvara praṇidhānāt vā  (ईश्वरप्रणिधानाद्वा॥२३॥): fissare Isvara procura ciò.
Lo stato di Samadhi può essere raggiunto anche attraverso la profonda meditazione sull’aspetto divino del cosmo e del proprio essere  arrivando così ad un completo abbandono e totale accettazione della perfezione dell’universo e del sé percependo la realtà  semplicemente così com’è.

I-24 Kleśa karma vipāka āsayaiḥ aparāmṛṣṭaḥ puruṣaviśeṣah Īśvaraḥ (क्लेशकर्मविपाकाशयैरपरामृष्टः पुरुषविशेष ईश्वरः॥२४॥): Le afflizioni delle conseguenze delle azioni non possono in alcun modo toccare l’individualità divina del Sé supremo Isvara.
L’essenza più profonda di ogni essere, lo stato divino dell’individuo, è incorruttibile e non può venire in alcun modo intaccato dai  dolori, tribolazioni e tormenti della vita materiale, dalle azioni e dalle loro conseguenze, buone o cattive che siano. Il nostro vero  Essere rimane sempre e comunque immutato e perfetto, coincidente, immagine e proiezione di Isvara.

I-25 Tatra niratiśayaṁ sarvajñabījam (तत्र निरतिशयं सर्वज्ञबीजम्॥२५॥): là si manifesta il seme di tutta la Conoscenza.
Solo là, nel più profondo, dove ogni “cosa” rimane nella sua incorruttibile stabilità, dove l’essere si rispecchia nel divino, si trova il   germe della Conoscenza suprema, la vera visione dell’intero cosmologico.

I-26 Sa eṣaḥ pūeveṣām api guruḥ kālena anavacchedāt (पूर्वेषाम् अपि गुरुः कालेनानवच्छेदात्॥२६॥): Conoscenza al di là del tempo, è il Maestro dei Maestri.
Il vero Guru è racchiuso in questo seme e si manifesta all’adepto come tutto l’onnisciente nel momento in cui si ritrova davanti Sé  stesso; consapevolmente ogni Verità si svela, l’accesso ad ogni sapere cosmico diviene possibile poiché lo stesso sapere è parte  integrante dello stesso essere.

I-27 Tasya vācakaḥ praṇavaḥ (तस्य वाचकः प्रणवः॥२७॥): Quello è la parola AUM.
Il sacro suono della mistica sillaba “Om” è il Maestro, la Via ed il Mezzo per raggiungere la propria realizzazione. AUM pervade  ed è onnipresente nel Cosmo, nello Spazio e nel Tempo; ovunque vibra sostenendo la Manifestazione.

I-28 Tajjapaḥ tadarthabhāvanam (तज्जपस्तदर्थभावनम्॥२८॥): La sua continua ripetizione serve a manifestarSi.
Ripetere continuamente ed incessantemente il suono AUM e meditare su di esso porta alla propria realizzazione. La mente si acquieta, i pensieri cessano di aggredire l’adepto svelando così il vero essere che è oscurato dal loro rumore.

I-29 Tadaḥ pratyakcetana adhigamaḥ api antarāya abhāvaḥ ca (ततः प्रत्यक्चेतनाधिगमोऽप्यन्तरायाभावश्च॥२९॥): Questo risveglierà la consapevolezza e comporterà l’assenza di ostacoli.
I frutti che la profonda e continua meditazione sull’Om fa maturare sono tra i più preziosi: la propria consapevolezza e la rimozione di ogni ostacolo sul cammino della più alta realizzazione.

I-30 Vyādhi styāna saṁśaya pramāda ālasya avirati bhrāntidarśana alabdhabhūmikatva anavasthitatvāni cittvikṣepah te antarāyāḥ (व्याधिस्त्यानसंशयप्रमादालस्याविरतिभ्रान्तिदर्शनालब्धभूमिकत्वानवस्थितत्वानि चित्तविक्षेपास्तेऽन्तरायाः॥३०॥): malattia, apatia, incertezza, negligenza, pigrizia, mancanza di controllo, falsa percezione, incapacità di mantenere i propri intenti, instabilità, distrazioni mentali, questi gli ostacoli.
Molti impedimenti saranno d’intralcio lungo la via della propria realizzazione. Complicazioni fisiche, blocchi mentali, scogli intellettuali e problemi spirituali impediscono una corretta e continua pratica della propria sādhana vanificando gli sforzi fatti dal discepolo che più e più volte si ritrova trascinato verso valle durante la sua faticosa ascesa.

I-31 Duḥkha daurmanasya aṅgamejayatva śvāsapraśvāsāḥ vikṣepa sahabhuvaḥ (दुःखदौर्मनस्याङ्गमेजयत्वश्वासप्रश्वासा विक्षेपसहभुवः॥३१॥): sofferenza, angoscia, incertezza nei movimenti, respirazione difficoltosa si accompagnano.
Gli ostacoli se non rimossi attraverso un corretto lavoro sulla propria persona andranno ad accompagnarsi ad altri fattori di disagio rendendo sempre più infelice e grigio lo scorrere della vita.

I-32 Tatpratiṣedhārtham ekatattva abhyāsaḥ (तत्प्रतिषेधार्थमेकतत्त्वाभ्यासः॥३२॥): concentrarsi su un unico elemento nega la loro azione.
Questi ostacoli ed impedimenti vengono neutralizzati se si mantiene la propria mente focalizzata su un unico oggetto e la propria pratica su un'unica via. Continuare a sperimentare nuovi percorsi alla ricerca di un qualcosa risulta alla lunga controproducente poiché non si riuscirà mai ad arrivare a concluderne uno.

I-33 Maitrī karuṇā muditā upekṣāṇām sukha duḥkha puṇya apuṇya viṣayānāṁ bhāvanātah cittaprasādanam (मैत्रीकरुणामुदितोपेक्षणां सुखदुःखपुण्यापुण्यविषयाणां भावनातश्चित्तप्रसादनम्॥३३॥): la mente diviene tranquilla mantenendo atteggiamenti di amicizia verso chi gioisce, compassione per chi soffre, equanimità nei confronti di felicità, dolore, vizi e virtù.
Il praticare coscientemente e mantenere un atteggiamento equilibrato verso i casi della vita porta il vortice dei pensieri verso uno stato di calma. Gioire per chi è felice e provare dolore per chi sta soffrendo contribuisce all’equilibrio personale non dando spazio ad emozioni negative come indivia, superbia e orgoglio. È portando consapevolezza sul giusto distacco tra gioia e dolore che si impedisce al flusso incontrollato dei pensieri di minare il nostro essere mentale.

I-34 Pracchardana vidhāraṇābhyām vā prāṇasya (प्रच्छर्दनविधारणाभ्यां वा प्राणस्य॥३४॥): esalando e ritenendo il respiro.
La stabilità e l’acquetarsi del flusso mentale si possono ottenere anche attraverso la pratica del controllo del respiro: il pranayama. L’attività mentale e strettamente legata alla respirazione. Una respirazione agitata è accompagnata da attività mentale irrequieta, una respirazione calma e profonda procura benessere psicofisico dovuto al rallentarsi del flusso dei pensieri, il controllo del suo arresto induce il sistema celebrare in uno stato di imperturbabilità luminoso.

I-35 Viṣayavatī vā pravṛttiḥ utpannā manasaḥ sthiti nibabdanī (विषयवती वा प्रवृत्तिरुत्पन्ना मनसः स्थितिनिबन्धिनी॥३५॥): concentrandola intensamente su percezioni sensoriali sottili e profonde.
La mente si acquieta cercando la sua focalizzazione sul sentire interiore: suoni sottili, sensazioni leggere, sfuggevoli, quindi impegnative per il sistema cognitivo sensoriale che rimane così obbligato a restare stabile sul loro ascolto per non perderne il contatto. Questo si chiama “Viayavatī”.

I-36 Viśokā vā jyotiṣmatī (विशोका वा ज्योतिष्मती॥३६॥): su ciò che non contiene sofferenza ovvero la luce interiore.
La mente si acquieta restando a contemplare semplicemente la luce interiore presente nel profondo di ogni essere, jyotiṣ, la luce divina che appare nei tre mondi, bhūr bhuvaḥ svaḥ, oggetto puro dal dolore, mondo da ogni seme di sofferenza. Patanjali prosegue ad elencare le vie sperimentate per poter calmare i flussi mentali: non esiste solo una modalità, ma diverse possibilità sono donate all’adepto, che dopo periodi di prova, sceglierà quella a lui affine e più efficace.

I-37 Vītarāga viṣayam vā cittam (वीतरागविषयं वा चित्तम्॥३७॥): oppure concentra la mente su un saggio realizzato.
La meditazione focalizzata su una persona liberata dei desideri dei sensi può portare la mente dell’adepto ad identificarsi con la realizzazione stessa, metabolizzando le qualità necessarie al suo sbocciare.

I-38 Svapna nidrā jñāna ālambanaṁ vā (स्वप्ननिद्राज्ञानालम्बनं वा॥३८॥): o cerca la coscienza nel sonno quando si sogna.
La ritrazione dei sensi è una condizione che viene cercata attraverso l’uso tecniche meditative dagli yogin. Durante il sonno questo avviene in modo naturale e cercare uno stato di coscienza durante il sogno è una porta per trovare la propria consapevolezza.

I-39 Yathābhimata dhyānāt vā (यथाभिमतध्यानाद्व॥३९॥): oppure medita qualcosa piacevole.
La mente si fissa con più facilità su un oggetto desiderabile ai nostri sensi. Sfruttare ed utilizzare questa caratterista delle funzioni celebrali può portare l’adepto in uno stato di profonda ritrazione sensoriale.

I-40 Paramāṇu paramamahattvāntaḥ asya vaśīkāraḥ (परमाणु परममहत्त्वान्तोऽस्य वशीकारः॥४०॥): aver in proprio potere questo sottomette l’atomo e l’infinitamente grande.
Arrivare alla padronanza totale di una di queste tecniche meditative porta come conseguenza il controllo e la consapevolezza delle fluttuazioni e delle illusioni mentali. Annulla il potere delle Afflizioni liberando l’adepto da pesanti catene dando la possibilità di aver conoscenza della Realtà, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande.

I-41 Kśīṇavṛtteḥ abhijātasya iva maṇeḥ grahītṛ grahaṇa grāhyeṣu tatstha tadañjanatā samāpattiḥ (सत्त्वशुद्धिसौमनस्यैकाग्र्येन्द्रियजयात्मदर्शनयोग्यत्वानि च॥४१॥): il dissolversi delle modificazioni dei Guna rende trasparenti come una gemma perfetta; chi percepisce, l’atto di percepire e l’oggetto percepito stabilmente assumono la forma del veggente.
Il riuscire a liberarsi, attraverso le tecniche descritte, dall’influenza dei tre guna rende la mente così quieta, senza alcuna scoria o rumore, da poter essere paragonata ad un cristallo perfetto che in nessun modo può deformare le cose che vi si guardano attraverso. Allora la Realtà appare per quella che è allo Yogin: non vi più alcuna distinzione tra l’essere, il senso e l’oggetto. Sparisce la separazione tra la forma, l’atto e l’Io che percepisce: chi guarda, chi è osservato ed il vedere sono la medesima cosa. Così chi prega, la divinità e la supplica sono solo una triplice unità.

I-42 Tatra ṡabda artha jñāna vikalpaiḥ saṃkīrṇā savītarkā samāpattiḥ (तत्र शब्दार्थज्ञानविकल्पैः संकीर्णा सवितर्का समापत्तिः॥४२॥): allora va a buon fine l’unione tra il nome, il significato e la conoscenza nel savitarka samapatti.
Il Savitarka Samapatti è un particolare stato della coscienza che accade quando la concentrazione dell’adepto focalizzata su oggetti grossolani giunge a tal punto in cui le qualità dell’oggetto/soggetto in questione si fondono tra di loro. Ciò porta una nuova e speciale conoscenza/coscienza in chi vive questa esperienza.

I-43 Smṛtipariśuddhau svarūpaśūnya iva arthamātranirbhāsā nirvitarkā (स्मृतिपरिशुद्धौ स्वरूपशून्येवार्थमात्रनिर्भासा निर्वितर्का॥४३॥): il ricordo purificato libero dalla propria forma come se fosse solo pura luce è nirvitarka.
Il Nirvitarka è lo stato in cui la mente perde completamente ogni “concetto materiale”. L’unione con il tutto è completa e gli “oggetti” della meditazione vengono riconosciuti istantaneamente sotto ogni loro qualunque aspetto, contemporaneamente. La Conoscenza che ne deriva è totale e globale sotto ogni aspetto materiale e temporale.

I-44 Etayaiva savicārā nirvicārā ca sūkṣmaviṣayā vyākhyātā (एतयैव सविचारा निर्विचारा च सूक्ष्मविषया व्याख्याता॥४४॥):  da questo sono spiegate anche le cose sottili del Savichara e del Nirvichara.
Nella stessa maniera in cui si producono gli stati di Savitarka e Nirvitarka, accadono le esperienze più elevate di Savichara (con riflessione) e Nirvichara (senza riflessione), in cui solo oggetti del mondo etereo, corpi sottili, sono motivo di contemplazione. In queste due tipologie di samadhi, il Sadhaka è svuotato completamente da ogni esperienza restando in uno stato inesprimibile senza causa né effetto, senza tempo né spazio.

I-45 Sūkṣmaviṣayatvaṁ ca alinga paryavasānam (सूक्ष्मविषयत्वं चालिङ्गपर्यवसानम्॥४५॥): l’oggetto sottile e senza segno finisce nell’immanifesto.
Attraverso lo stato meditativo si possono “spogliare” gli oggetti della loro consistenza materiale fino ad arrivare, per gradi, alla loro ultima causa che si risolve nell’Immanifesto.

I-46 Tā eva sabījaḥ samādhiḥ (ता एव सबीजः समाधिः॥४६॥): così essi in verità sono samadhi con seme.
Ogni tipo di particolare stato meditativo fin qui esposto ricade nella categoria di “Samadhi con Seme”. L’ascesi si poggia, sia esso grossolano o sottile, in ogni caso su di un “oggetto”. L’adepto si trova sulla soglia ma non ha ancora oltrepassato il segno, resta nel ciclo del samsara e può ricadere nell’illusorietà materiale.

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