Gajakarani (Gajakaraṇī): gesto dell’elefante. Tecnica che consiste nel far risalire apāna fin su dall’esofago a procurarsi conati vomito. Simile a vamanadhauti, che dopo aver riempito lo stomaco d’acqua la si rigetta.
Ganapati (Gaṇapati): altro appellativo di Ganesha.
Ganapatya (Gaṇapatya): i devoti del dio Gaṇeśa
Gandha (Gandha): odore. Nella visione del Sāṃkhya è uno degli elementi sottili che dà forma all’elemento “terra” dopo essersi combinato con gli altri quattro tanmātra (suono, contatto, forma, gusto).
Gandharva (Gandharva): divinità del pantehon induista. Personificazione della luce solare, custode della Verità e dei misteri celesti. Uno dei suoi doveri è quello di preparare la Soma per gli dei. Nel buddhismo iGandharva sono semidei che allietano i banchetti celesti con i loro canti, balli e musiche.
Ganesha (Gaṇeśa): figlio di Shiva e Parvati, il dio dalla testa elefantina. Porta saggezza, elimina gli ostacoli posti sulla via della vita e dona la forza e pazienza per sopportare i problemi non risolvibili.
Ganeshagita (Gaṇeśagītā): testo che gli adoratori di Gaṇeśa utilizzano per le loro letture; una versione dellaBhagavadgītā dove il nome di Krishna è sostituito da quello della loro divinità.
Ganeshamudra (Gaṇeśamudrā): gesto di Gaṇeśa. Si trovano alcune varianti di questa mudrā. In una, si afferrano i lobi delle orecchie con pollice ed indice dopo aver incrociato le braccia li si tirano, premendoli per nove volte, dopo di che si schiaffeggiano le orecchie nella parte posteriore una cinquantina di volte.Oppure, afferrando le mani tenendo le dita unite a formare una specie di uncino davanti ad anāhatacakra, si tira il più forte possibile verso destra e sinistra espirando.
Ganga (Gaṅgā): nome indiano del fiume Gange. Secondo la mitologia, nacque dall’acqua che Brahmā lasciò cadere sul piede sinistro di Viṣnu. Il suo corso si svolge in cielo, dove è identificato con la Via Lattea, in terra e negli inferi, dove prende il nome di Bhogavatī. Nell’haṭhayoga vengono chiamati con gaṇgā e con Yamunā, il suo affluente principale, i fluidi che scorrono in iḍā e piṅgalā.
Garbhasana/Garbhapindasana (Garbhāsana/Garbhapiṇḍāsana): posizione del feto. Partendo dalla posizione del loto, di cui si richiede assoluta padronanza, si inseriscono inspirando le braccia fra i polpacci e le cosce fino al gomito, dopo di che, flettendo le braccia si sollevano le cosce restando in equilibrio sul triangolo formato dagli ischi e dal sacro. Le ginocchia vanno portate contro il petto e le mani si posizionano ai lati del viso. Āsana che tonifica gli organi addominali e riscalda il corpo. Favorisce la digestione e migliora il proprio equilibrio.
Gariman (Gariman): pesantezza. Capacità di rendere il proprio corpo pesante a piacimento. Una dellesiddhi che la tradizione vuole ottenibile dalla assidua pratica yogica.
Garuda (Garuḍa): mitica aquila cavalcata da Viṣṇu. Divinità induista rappresentata da un corpo umano ricoperto da piume d’oro, con ali e testa d’aquila dal becco rosso e viso bianco incoronata. “Colui che aspetta il veleno” e “colui che porta un gran peso” sono altri significati filologici del nome.
Garudasana (Garuḍāsana): posizione del dio Garuda. Postura di equilibrio dello aṭhayoga in cui una gamba viene posta intrecciata sull’altra in modo tale che il piede si agganci posteriormente al polpaccio della gamba che rimane tesa in supporto. Movimento simile si effettua con le braccia fino ad intrecciarle tra loro con i palmi a contatto. Così posti, si sollevano gli arti superiori fino a portare le braccia parallele e gli avambracci perpendicolari al suolo davanti al viso. Posizione benefica per caviglie, gambe e spalle.
Gayatri (Gāyatrī): oṁ bhūr bhuvaḥ svaḥ, tat savitur vareṇyam bhrago devasa dhīmahī dhiyo yo naḥ procodayāt. Formula considerata tra le più sacre fra tutti i mantras vedici. Preceduta dal praṇava e dalla tre grandi acclamazioni (mahāvyāṛti) terra, ciò che sta in mezzo e cielo. Contiene l’essenza dell’insegnamento dei Veda.
Ghatavastha (Ghaṭāvasthā): momento dell’unione. Una pratica molto profonda del prāṇāyāma può portare l’adepto allo stato in cui prāṇa, apāna, nāda e bindu si fondono andando a sciogliere, attraverso la loro unione, il nodo di Viṣṇu situato all’altezza del cuore permettendo così la realizzazione dei Cakra superiori.
Ghatasthayoga (Ghaṭasthayoga): lo yoga del vaso. All’interno della Geraṇḍasaṃhitā viene usata questa metafora per indicare l’essere umano, che come un vaso deve essere cotto al fuoco dello yoga.
Gherandasamhita (Gheranṇḍasaṃhitā): considerata uno dei principali trattati di haṭhayoga. Temporalmente la datazione dell’opera non è tutt’oggi sicura. Viene indicato un arco temporale abbastanza lungo a seconda degli studiosi che va dal quattordicesimo al diciassettesimo secolo. Il manoscritto più antico giunto a noi risale ai primi anni dell’ottocento. L’opera viene esposta sotto forma di dialogo tra il discepoloCaṇḍakāpāli che si presenta alla capanna del proprio guru Gheraṇḍa chiedendogli l’insegnamento dellohaṭhayoga. Il tema viene svolto attraverso sette lezioni in cui vengono trattati rispettivamente i ṣatkarman, gli āsana, le mudrā, il pratyāhāra, il prāṇāyāma, il dhyāna e lo samādhi.